Concerti

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Sabato 22 novembre, 6° Bluegrass Party / Red Wine

Che tenerezza veder scorrere su uno schermo le immagini di un giovane Beppe Gambetta con i baffoni, manco fosse un preistorico episodio di Hazard. O il sorriso dolcissimo di Marco Curreri, che è sulle nuvole con il suo basso a duettare con Max Parodi e Bambi Fossati. E, ancora, rivedere musicassette e dischi in vinile, palchi improbabili e palchi molto probabili, quelli a stelle e strisce dove la Red Wine s'è andata a conquistare credibilità bluegrass in salsa mediterranea con ostinata allegria. Queste, e mille altre immagini, "passavano" dietro le schiene di Martino Coppo, Silvio e Marco Ferretti, Lucas Bellotti. Perché la sesta edizione dell'ormai tradizionale Bluegrass Party era dedicata agli amici di ieri e di oggi, tanta maestria sulle corde passata per un gruppo che ha accorciato negli anni il nome, ma allungato a dismisura la propria esperienza e credibilità. Ci hanno provato le bombe d'acqua a fermare la Red Wine; scommessa persa, perché sabato 22, a dispetto di una pioggia maligna e pervasiva, e di un freddo finalmente pungente la sala del Teatro Modena era piena. Gran bel colpo d'occhio. E pazienza se gli ospiti stranieri non hanno potuto più recuperare la data: tanto sul palco c'erano gran signori delle note come Paolo Bonfanti, Roberto Bongianino con la sua fisarmonica poco invadente e fatata, la flautista Daniela Piras, il violoncellista Daniele Bovo, la splendida macchina del ritmo Davide Zalaffi. Picking Friend si intitola il nuovo disco: ed è sia chiamata a raccolta, sia un modo per sottolineare che ce n'è ancora tanta gente in gamba pronta ad arricchire un suono bluegrass via via sempre più disposto a mettersi in gioco, senza perdere una stilla di comunicativa e swing. Un concerto, ma anche una festa giocosa come sempre, il concerto della Red Wine: come quando Silvio Ferretti ha ricordato l'episodio americano dei due anziani signori cristiani "rinati" fondamentalisti, attratti come api dal miele dalla maglietta con scritto Red Wine, ma bloccati dallo scrupolo religioso di non inneggiare all'alcol: ostacolo superato dalla battuta di Silvio: "In fin dei conti anche nostro Signore trasformò l'acqua in vino", e via, due magliette extralarge vendute. Suona da trentasei anni, la Red Wine, ed il repertorio è immenso: ecco scorrere dal palco allora Lookin' Out By Back Door, pregiata ditta Creedence Clearwater Revival, e la struggente ultima Time To Learn, e il Cielo d'Irlanda, e Stealin' Peaches, un brano nato, racconta Martino, quando la sfida era quella di riuscire a scrivere un brano al giorno in tour con Tony Trishka. Lui se ne uscì con una Scarin' Chickens, il giorno dopo, a polli spaventati, ecco la ratifica di un succoso furto di pesche. Le sorprese? Una incredibile versione "bluegrassizzata" dell'autore che uno meno penserebbe possa essere ricondotto alle veloci corde folk nordamericane, ovvero l'albionico Nick Drake. Eppure Time Of No Reply funziona anche così, eccome. Finale struggente e potente assieme, con una liberatoria We Shall Overcome cantata a strofe alternate, sullo schermo le immagini di Genova tante volte fiaccata dall'acqua e dalle violenze perpetuate su un territorio troppo fragile, ed altrettante volte caparbiamente risorta. Con gente che non si tira mai indietro. Come quelli della Red Wine. (Foto: in alto di Paola Zucchi, in basso di Stefano Goldberg). (Guido Festinese)

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A un anno di distanza dalla sua scomparsa lunedì 3 novembre alle ore 21 al teatro Gustavo Modena l'Orchestra Filarmonica di Sampierdarena ha reso omaggio al musicista che ne è stato l'anima per venticinque anni, il maestro Cesare Marchini. Oltre ai 'ragazzi' della sua orchestra diretta da Enrico Ferrando, vari ospiti tra cui Gianluigi Trovesi, Gianni Coscia, Antonio Marangolo, Giampaolo Casati, Stefano Riggi, Luca Begonia, Gianluca Tagliazucchi, Piero Leveratto. Con tutti aveva suonato, a molti aveva insegnato, prima nella scuola del Louisiana Jazz club di Genova, poi nelle Filarmoniche di Sestri e Sampierdarena, dove ha letteralmente plasmato centinaia di musicisti. Una bella occasione per ricordarlo e per ascoltare del buon jazz.
Fin qui la notizia alla quale aggiungiamo un personale ricordo: ho avuto la fortuna, negli anni in cui ho lavorato al Teatro dell'Archivolto di Genova, di scoprirlo nei concerti in cui guidava la 'sua' Filarmonica di Sampierdarena, di farmi raccontare da chi lo conosceva quale vita avventurosa (e drammatica) fosse stata la sua (la trovate nel bel video-documentario "1... 2... 3... 4... Video Ritratti di Cesare Marchini", realizzato da Paolo Borio e Ugo Nuzzo, in occasione dell'ottantesimo compleanno del Maestro), di vederlo dirigere (e non erano tutte rose e fiori), di complimentarmi (complimenti immancabilmente restituiti al mittente) per il suono e la musicalità del suo sax alto. Sapevo che aveva studiato con Lee Konitz (li avrei sentiti insieme nel marzo del 2004 quando incrociarono i sassofoni durante un concerto con la Bansigu Jazz Band), nientemeno che da Lennie Tristano negli anni '50 a New York. Avrei scoperto come c'era arrivato, lui fiumano, deportato a Dachau dai nazisti, emigrato negli Stati Uniti dove, arruolato per la guerra di Corea, era finito a suonare il sax nella banda dei marines. Poi gli anni in Scandinavia, dodici, a dirigere un'orchestra da ballo. Infine il ritorno in Italia, a Genova, dove esercitava l'altra sua grande passione, la pittura, metafisica come spesso poteva apparire la sua musica; e a volte anche lui stesso, quasi isolato nella sua incontrovertibile purezza, che non diventava mai spocchia o presunzione. Anzi, tutt'altro. E musicalmente parlando mi sento di dire che era davvero l'unica cosa che gli mancasse. (Danilo Di Termini)

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Marianne Faithfull, Live all’Auditorium di Milano  27 ottobre 2014

Le premesse c'erano tutte perché il suo ultimo disco, Give my love to London è davvero bello. Così l'attesa per il primo dei suoi due concerti italiani in programma era molta, dopo la scarna esibizione a Che Tempo Che Fa (senza Anna Calvi, pare bloccata da problemi di salute). L'ingresso è faticoso, l'ex musa della Swingin London si appoggia ad un bastone, la sedia al centro del palco è lì per darle riposo, molte canzoni le canterà da seduta, con un provvidenziale leggio che le ricorderà i testi che faticano a riaffiorare. Ma la voce, benché a tratti affaticata dagli anni, è capace di gelarti in un lampo, di aggrovigliarti con la sua apparente monotonia tonale. Ci riesce con le canzoni dal nuovo album (lo farà quasi tutto, ringraziando le persone che per lei hanno scritto, da Roger Waters a Nick Cave ad Anna Calvi), ci riesce (e come poteva essere diversamente) con Broken English, terzo brano in scaletta, quando posa gli occhiali scherzando sul fatto che di questa canzone si ricorda le parole perfino lei.
Sul palco sono in quattro, basso, batteria, chitarre e tastiere (c'è Ed Harcourt): ma la scena è tutta per lei che reinventa a modo suo The Price of Love degli Everly Brothers, non sfugge al rito di As Tears Go By e poi piazza verso il finale Sister Morphine seguita da un gioiello di Nick Cave, Late Victorian Holocaust, un uno-due che stenderebbe anche uno passato di lì per caso. È ora di andare, c'è tempo ancora per The Ballad of Lucy Jordan (da sempre in repertorio, anche nel bel live del 1990, Blazing Away) e la commossa chiusura di Who Will Take Your Dreams Away scritta da Angelo Badalamenti per il film di Marc Caro e Jean-Pierre Jeunet, La Città Perduta. Si alza a fatica, ma sempre sorridendo e si appoggia per venire in proscenio a prendere i meritati applausi. (Danilo Di Termini)

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PAOLO FRESU QUINTET al Monfortjazz Festival

Monforte d'Alba 2/8/2014 (foto, Meirana)
Ultimo concerto estivo in Italia del quintetto, dice Fresu, correggendosi con un ironico: 'perché la Sardegna non è Italia...' strappando un sorriso al pubblico; quanto a concerto estivo, neanche quello di Monforte d'Alba rientra del tutto nella categoria, visto il clima che, oltre alle nuvole, ha portato anche un'insistente nebbia fin sul palco. La stagione del trentesimo compleanno del gruppo dunque sta finendo, ed è significativo che l'interplay tra i musicisti non dia segni di stanchezza, ma anzi, come nel celebrativo ultimo lavoro '30!', sia la freschezza a dominare. La suggestione del luogo e del paesaggio hanno solo aggiunto la doverosa quinta ad una celebrazione che il musicista sardo si merita per l'indefessa passione per la musica, non solo con il quintetto ma anche con le tante collaborazioni con musicisti molto lontani l'un l'altro ma accomunati dall'onestà artistica e intellettuale. Del concerto, a parte qualche inconveniente tecnico nei primi brani, si può dir solo bene, poca elettronica nella tromba di Paolo, sempre delizioso al flicorno e abile a farsi da parte quando Tracanna e i suoi sassofoni chiedono spazio; della sezione ritmica va segnalata la verve di Fioravanti alla batteria, anche se reduce da un lungo trasferimento, la consueta precisione di Zanchi al contrabbasso e infine la simpatia di Cipelli nei siparietti di presentazione dei brani, senza scordare il suo abile tocco sui tasti dei due pianoforti, acustico ed elettrico. Per il gran finale del Monfortjazz, una benvenuta degustazione gratuita del prezioso Barolo e, dopo quelli sul palco, fuochi artificiali anche nel cielo grigio delle Langhe. (Fausto Meirana)

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STEVE EARLE al Mojotic Festival

Al Mojotic Festival mancava forse, tra i nomi di quest'anno, una voce meno 'di grido' ma più autorevolmente classica come quella di Steve Earle; l'esibizione del cantautore texano, in perfetta solitudine, è stata disturbata solamente da una serata piuttosto fresca, dominata da una brezza piuttosto fastidiosa. In compagnia di una chitarra acustica e una manciata di armoniche (più un mandolino nella parte finale del concerto) Earle ha giocato un po' con il suo ampio repertorio, concentrando la scelta sui dischi della 'rinascita', quelli usciti dopo il periodo nero della tossicodipendenza e del carcere, anche se c'è stato spazio per classici come Guitar Town, Copperhead Road e The Devil's Right Hand; non sono mancati neanche i consueti omaggi a Woody Guthrie (Christmas in Washington) e a Townes Van Zandt, i due potenti fari che guidano, da tempo, il percorso artistico di Earle. Lo scorrere piuttosto costante della scaletta ha comunque rivelato una certa verve comunicativa da parte del cantautore, contento di ricordare il contributo italiano all'informazione e al finanziamento sul tema delicato della pena di morte negli Stati Uniti, ringraziando le associazioni che hanno tentato di sensibilizzare i vari governi. Una serata da incorniciare, con l'unico rammarico delle gradinate non troppo affollate. (Fausto Meirana)

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I CALEXICO A MONFORTJAZZ, Monforte d’Alba 22 luglio 2014

Un'invidiabile location, una fresca serata estiva e una band che non ha paura a mischiarsi con il pubblico; con questi ingredienti il concerto dei Calexico al Monfortjazz Festival ha soddisfatto i numerosi appassionati stipati nello strepitoso Auditorium Horszowski di Monforte d'Alba. Nonostante il panorama sui rinomati vigneti e colline delle Langhe, ben presto gli occhi (e le orecchie...) della platea si sono concentrati sul palco dove il gruppo di Joey Burns e John Convertino ha proposto una bella sequenza di brani incentrati soprattutto sugli ultimi due album, grondanti di energica vitalità. Come ciliegine sulla torta, due belle cover, la 'Señor' di Dylan ( con Burns costretto ad inforcare gli occhiali per leggerne il testo ), una inaspettata e rude 'Love will tear us apart', dei piuttosto 'distanti' Joy Division; poco più di una citazione, invece per la 'Desaparecido' di Manu Chao. Da ricordare, in apertura, il breve set dei Guano Padano, trio nostrano composto dal poliedrico batterista Zeno De Rossi, con Asso Stefana alle chitarre e Danilo Gallo al basso, band che gioca con gli evocativi temi d'ispirazione morriconiana e, più in generale, con paesaggi sonori affini agli stessi Calexico degli esordi. (Fausto Meirana)

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