Concerti
Che tenerezza veder scorrere su uno schermo le immagini di un giovane Beppe Gambetta con i baffoni, manco fosse un preistorico episodio di Hazard. O il sorriso dolcissimo di Marco Curreri, che è sulle nuvole con il suo basso a duettare con Max Parodi e Bambi Fossati. E, ancora, rivedere musicassette e dischi in vinile, palchi improbabili e palchi molto probabili, quelli a stelle e strisce dove la Red Wine s'è andata a conquistare credibilità bluegrass in salsa mediterranea con ostinata allegria. Queste, e mille altre immagini, "passavano" dietro le schiene di Martino Coppo, Silvio e Marco Ferretti, Lucas Bellotti. Perché la sesta edizione dell'ormai tradizionale Bluegrass Party era dedicata agli amici di ieri e di oggi, tanta maestria sulle corde passata per un gruppo che ha accorciato negli anni il nome, ma allungato a dismisura la propria esperienza e credibilità. Ci hanno provato le bombe d'acqua a fermare la Red Wine; scommessa persa, perché sabato 22, a dispetto di una pioggia maligna e pervasiva, e di un freddo finalmente pungente la sala del Teatro Modena era piena. Gran bel colpo d'occhio. E pazienza se gli ospiti stranieri non hanno potuto più recuperare la data: tanto sul palco c'erano gran signori delle note come Paolo Bonfanti, Roberto Bongianino con la sua fisarmonica poco invadente e fatata, la flautista Daniela Piras, il violoncellista Daniele Bovo, la splendida macchina del ritmo Davide Zalaffi. Picking Friend si intitola il nuovo disco: ed è sia chiamata a raccolta, sia un modo per sottolineare che ce n'è ancora tanta gente in gamba pronta ad arricchire un suono bluegrass via via sempre più disposto a mettersi in gioco, senza perdere una stilla di comunicativa e swing. Un concerto, ma anche una festa giocosa come sempre, il concerto della Red Wine: come quando Silvio Ferretti ha ricordato l'episodio americano dei due anziani signori cristiani "rinati" fondamentalisti, attratti come api dal miele dalla maglietta con scritto Red Wine, ma bloccati dallo scrupolo religioso di non inneggiare all'alcol: ostacolo superato dalla battuta di Silvio: "In fin dei conti anche nostro Signore trasformò l'acqua in vino", e via, due magliette extralarge vendute. Suona da trentasei anni, la Red Wine, ed il repertorio è immenso: ecco scorrere dal palco allora Lookin' Out By Back Door, pregiata ditta Creedence Clearwater Revival, e la struggente ultima Time To Learn, e il Cielo d'Irlanda, e Stealin' Peaches, un brano nato, racconta Martino, quando la sfida era quella di riuscire a scrivere un brano al giorno in tour con Tony Trishka. Lui se ne uscì con una Scarin' Chickens, il giorno dopo, a polli spaventati, ecco la ratifica di un succoso furto di pesche. Le sorprese? Una incredibile versione "bluegrassizzata" dell'autore che uno meno penserebbe possa essere ricondotto alle veloci corde folk nordamericane, ovvero l'albionico Nick Drake. Eppure Time Of No Reply funziona anche così, eccome. Finale struggente e potente assieme, con una liberatoria We Shall Overcome cantata a strofe alternate, sullo schermo le immagini di Genova tante volte fiaccata dall'acqua e dalle violenze perpetuate su un territorio troppo fragile, ed altrettante volte caparbiamente risorta. Con gente che non si tira mai indietro. Come quelli della Red Wine. (Foto: in alto di Paola Zucchi, in basso di Stefano Goldberg). (Guido Festinese)
A un anno di distanza dalla sua scomparsa lunedì 3 novembre alle ore 21 al teatro Gustavo Modena l'Orchestra Filarmonica di Sampierdarena ha reso omaggio al musicista che ne è stato l'anima per venticinque anni, il maestro Cesare Marchini. Oltre ai 'ragazzi' della sua orchestra diretta da Enrico Ferrando, vari ospiti tra cui Gianluigi Trovesi, Gianni Coscia, Antonio Marangolo, Giampaolo Casati, Stefano Riggi, Luca Begonia, Gianluca Tagliazucchi, Piero Leveratto. Con tutti aveva suonato, a molti aveva insegnato, prima nella scuola del Louisiana Jazz club di Genova, poi nelle Filarmoniche di Sestri e Sampierdarena, dove ha letteralmente plasmato centinaia di musicisti. Una bella occasione per ricordarlo e per ascoltare del buon jazz.
Fin qui la notizia alla quale aggiungiamo un personale ricordo: ho avuto la fortuna, negli anni in cui ho lavorato al Teatro dell'Archivolto di Genova, di scoprirlo nei concerti in cui guidava la 'sua' Filarmonica di Sampierdarena, di farmi raccontare da chi lo conosceva quale vita avventurosa (e drammatica) fosse stata la sua (la trovate nel bel video-documentario "1... 2... 3... 4... Video Ritratti di Cesare Marchini", realizzato da Paolo Borio e Ugo Nuzzo, in occasione dell'ottantesimo compleanno del Maestro), di vederlo dirigere (e non erano tutte rose e fiori), di complimentarmi (complimenti immancabilmente restituiti al mittente) per il suono e la musicalità del suo sax alto. Sapevo che aveva studiato con Lee Konitz (li avrei sentiti insieme nel marzo del 2004 quando incrociarono i sassofoni durante un concerto con la Bansigu Jazz Band), nientemeno che da Lennie Tristano negli anni '50 a New York. Avrei scoperto come c'era arrivato, lui fiumano, deportato a Dachau dai nazisti, emigrato negli Stati Uniti dove, arruolato per la guerra di Corea, era finito a suonare il sax nella banda dei marines. Poi gli anni in Scandinavia, dodici, a dirigere un'orchestra da ballo. Infine il ritorno in Italia, a Genova, dove esercitava l'altra sua grande passione, la pittura, metafisica come spesso poteva apparire la sua musica; e a volte anche lui stesso, quasi isolato nella sua incontrovertibile purezza, che non diventava mai spocchia o presunzione. Anzi, tutt'altro. E musicalmente parlando mi sento di dire che era davvero l'unica cosa che gli mancasse. (Danilo Di Termini)
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