Il giorno in cui Bianconi deciderà di fare il solista ci si potrà finalmente confrontare con il suo songwriting che immagino sarà abbastanza scevro delle barocche'n'roll costruzioni proprie della ditta Baustelle. Personalmente sono diviso tra due giudizi, anzi, forse pregiudizi: in primo luogo riconosco che, partiti come epigoni italici dei Pulp, i Baustelle hanno trovato dalla Malavita in poi una strada furbetta ma seducente: sposare la canzone italiana con sonorità british e/o country, ma anche saper citare (o plagiare) tra le note spunti di cantautorato alto. In seconda battuta riconosco la capacità di scrittura di Bianconi (su tutte Bruci la città in qualità di solo autore) anche se derivativa ma perlomeno quasi mai banale. Il nuovo lavoro non si discosta se non in una certa abbondanza negli arrangiamenti dal cammino intrapreso: qua e là si distinguono i Nomadi ma ancora e anche Lee Hazelwood, il De Andrè di Spoon River e qualche Battiatismo senza insolenze. C'è di buono che i suoi testi fanno venir voglia, se non altro, di essere ascoltati ma qui mancano capolavori come Antropophagus dell'album precedente (i signori e le signore, il loro eterno roteare come agnello nel kebab è irraggiungibile). Comunque una spanna e forse più sopra la media dei prodotti made in italy. (Marcello Valeri)
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