Musica italiana
Quasi venticinque anni: la retorica del “quarto di secolo” di assenza ci può stare tutta, per un musicista che è l’esatto contrario, nella vita e nelle opere, della sovraesposizione narcisistica da luogo comune. Gianni Nocenzi è un nome che scalda i cuori degli appassionati di art rock, musiche sperimentali, elettronica crepitante rimpolpata dal sangue vivo di ospiti eccellenti. Nel dubbio andate a riascoltare Soft Songs o Empusa. Ma va anche bene se di Nocenzi ricordate il tocco sontuoso e classicheggiante nel “suo” Banco del Mutuo Soccorso, quello in cui lui e il fratello Vittorio si fronteggiavano sul placo di fronte alla tastiere, e davanti c’era il gigante buono Francesco Di Giacomo. Gianni Nocenzi ritorna con un disco che non raggiunge, nel minutaggio, i quaranta minuti: vecchia coscienza “analogica” dei vinili. Live in studio, buona la prima: e in sala c’era anche il fratellone Vittorio, appena ripresosi dalla brutta storia che poteva portarselo via, come è successo a Francesco e Rodolfo Maltese. Sei pezzi incantati e in piena concentrazione al pianoforte acustico, quasi sempre dominati da una logica “romantica” che potrebbe piacere sia a chi ama le note classiche, sia a chi rammenta il tocco di Jarrett o Svensson. Per chi conserva i dischi del “Banco”, inutile dirlo, necessario. Bentornato. (Guido Festinese)
Enneenne, e dunque “nescio nomen”, figlio di nessuno. Un bel titolo duro per il nuovo lavoro dei rinati Almamegretta, che però sono proprio tutt’altro che “figli di nessuno”. Sono invece gli inossidabili protagonisti di una stagione memorabile in cui anche dalle nostre parti aveva attecchito un tirip hop ipnotico, cadenzato, scuro come la notte. Ideale per dar conto di una metropoli del Sud impastoiata nel degrado feroce e vischioso di Gomorra, e oltre. Non è più possibile, sicuramente, attendersi da Almamegretta qualcosa che possa rivaleggiare con dischi epocali di due decenni fa. Ma il ritorno in pianta stabile di una figura centrale e maestosa come Raiz è, mutatis mutandis, come se Roger Waters fosse tornato alla consolle dei Pink Floyd. Il valore aggiunto di quella voce di catrame e di miele assieme è immenso, nel far lievitare la polpa ritmica dub reggae tesa e rarefatta al contempo marchio di fabbrica Almamegretta. E anche il ritorno alla produzione del grande Adrian Sherwood ha un gran peso. Parterre di ospiti notevole, da Carlo D’Angiò, veterano della Nuova Compagnia di Canto Popolare, in un brano che potrebbe essere uscito anche dalla penna di Enzo Avitabile, a Paolo Baldini e Adriano Viterbini. Ben tornati, davvero. (Guido Festinese)
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