Musica italiana
Il “soffio della libertà” è quello della swingante armonica a bocca di Fabrizio Poggi, ed il tutto si chiarisce meglio soffermandosi sul sottotitolo: “il blues e i diritti civili”. Questo è un magnifico, intenso, a tratti commovente viaggio in tredici stazioni musicali a caccia delle note che hanno scandito la sanguinosa lotta dei neri afroamericani per conquistare i diritti civili, a poco più di mezzo secolo da quando il Reverendo Martin Luther King scandì quelle parole di fuoco: “Ho fatto un sogno”. Non solo blues comunque, qui, ma anche ovvie anche se non scontate venature spiritual e gospel: come nella spettacolare Amazing Grace, che Poggi è andato a suonare sulla tomba del Reverendo. Poggi ha riunito qui un parterre di ospiti in blues quasi leggendario: Blind Boys Of Alabama, Charlie Musselwhite, Garth Hudson della Band, Guy Davis, Eric Bibb, Augie Meyers, Ponty Bone, e via citando. Uno sforzo da premiare. E da ascoltare e riascoltare. (Guido Festinese)
Capita spesso, ai grandi musicisti che portano un grande nome: da loro ci si attende molto, e loro quindi reagiscono diversificando campi d'azione e sortite, una sorta di inconscia rincorsa a cogliere le opportunità più diverse e dunque spiazzanti, pur di non rimanere chiusi in un'unica definizione. Che oltretutto obbligherebbe alla replica continua. Filippo Gambetta porta un cognome pesante, ma è anche un musicista compiuto che in questo momento coglie i frutti di una radiosa maturità declinata su sponde diverse, a volte complementari, a volte no: dalle note dello choro, la più negletta e palpitante palestra pirotecnica di un Brasile troppo spesso ridotto a tropicalismo e samba, alle incalzanti avventure gaeliche, al canzoniere della memoria racchiuso nella sigla Liguriani, e via citando. Sta di fatto che Otto Baffi, quarto lavoro in studio a suo nome è il lavoro più riuscito e meditato che Filippo abbia sino ad oggi fatto uscire: epitome in dodici stazioni di pentagrammi per la danza di composizione (e che composizioni!) che vivono di meditati ascolti da tutto il folk revival progressivo che ha interessato l'Europa (e oltre) nell'ultimo quarantennio. Con attacchi perentori, una facilità di suono emozionante, una leggerezza affollettata sull'otto bassi - che poi sarebbero in titolo le esse soppiantate alle “f” del fortissimo in notazione - che scongiura ogni accento retrivo. E guarda avanti. Ventidue musicisti ospiti: troppi? Troppo pochi, forse, a giudicare dagli esiti. Ascoltare per credere. (Guido Festinese)
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