Dopo quattro album composti esclusivamente di brani originali (ad eccezione di “Stravinsky’s Rite of Spring”) il pianista Ethan Iverson, il bassista Reid Anderson e il batterista Dave King tornano alla formula che li ha resi famosi, le cover di brani pop-rock. Inutile cercare un filo conduttore nella scelta dei brani (se non la sicumera che tutto possa serenamente diventare jazz): oltre a un pezzo di Ornette Coleman si susseguono titoli altenative rock, successoni anni ’80, i Kraftwerk e Peter Gabriel. Ma così come cambiando l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia, anche qui il risultato è sempre identico e la parola che ben lo riassume è: sconfortante. “Time After Time” (di cui, lo ammetto, faccio fatica anche a sopportare la versione di Miles Davis) si dilata stancamente, così come “Don’t dream It’s Over” dei Crowded House (sì, l’ha rifatta anche Venditti…): per nobilitare la questione Iverson finge di mettere qualche nota dissonante qua e là, King si piazza dalle parti di Paul Motian e tutto prosegue fino al rassicurante ritornello. Ma c’è di peggio ed è sicuramente la versione di “Mandy” di Barry Manilow seguita da “The Robot” dei Kraftwerk in versione piano Casio per minori di dodici anni. A volte quando mi capita di ascoltare del jazz con qualche amico non interessato al genere, mi sento dire: “Non capisco cosa fanno”. In questo caso mi sento di dire che non si capisce invece perché lo fanno. (Danilo Di Termini)
Jazz
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BAD PLUS - It's Hard
2016-09-01 19:15:10
Danilo Di Termini
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Opinione inserita da Danilo Di Termini 01 Settembre, 2016
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