
Opera prima, azzardiamo anche per importanza, dell’omonimo quartetto con la voce di Mr. Iguana Iggy Pop, all’epoca ancora Iggy Stooge. Era il 1969 e gli Stooges, insieme ai concittadini MC5, fondano quasi per caso quel “Detroit Rock”, portatore di germi proto punk. Primo di una fortunata trilogia (“Fun House” e “Raw Power” sono degni compagni del primogenito) che si concluderà con lo scioglimento del gruppo e la nascita di Iggy solista, “The Stooges” si impone all’ascolto come profetico manifesto della successiva scena musicale. Fin dalle prime note di “1969”, gli abbozzi di ciò che prenderà forma definitiva a metà degli anni ‘70 ci sono tutti: chitarre distorte, voci urlate, ricerca dell’imprevedibile. Indimenticabile poi “I Wanna Be Your Dog”che, per la voce arrabbiata e il ritmo incalzante, forse molti inserirebbero in un’antologia punk. La cosa che però colpisce di più, anche ad un primo ascolto, è la presenza di una canzone quale “We Will Fall”.
Dopo i primi due episodi, puri concentrati d’energia, questo brano si fa strada funereo, ipnotico, avvolto in un’oscurità che lo distingue dal resto dell’opera (toni simili sono ripresi in “Ann”, ma con minore potenza evocativa) e richiama i suoni cupi e cerebrali dei contemporanei Velvet Underground (del resto, ad accompagnare il pezzo con la sua viola c’è il più intellettuale dei Velvet, John Cale, che è anche produttore di questo album). Pur nella sua immediatezza “The Stooges” mostra di possedere uno spessore non indifferente; i suoni apparentemente confusi, ma in realtà di una grezza perfezione, sanno talora lasciare spazio a momenti più “meditati”, procedimento che verrà invece meno nei successivi due album, più vicini, specie “Raw Power”, allo sporco punk.
(Erika Furci)