
È stata salutata con entusiasmo la ristampa su cd di “MonoTono” e “Kinotto”. Un entusiasmo che di solito si riserva ai classici. La cosa buffa è che gli Skiantos non avrebbero mai pensato (e nemmeno voluto, forse) diventare classici. Nella temibile, caotica, ma anche molto creativa Italia di fine anni ’70 il gruppo di Freak Antoni rappresentò lo sberleffo, l’irrisione e le loro canzoni parvero legate al momento e perciò destinate a non durare. In effetti furono dimenticate sino a che il termine rock demenziale, con cui le si descriveva, non venne rispolverato in coincidenza con la grande ascesa di Elio e Le Storie Tese. Adesso gli Skiantos vengono ristampati addirittura in lussuose edizioni digipack con diversi brani aggiunti. “MonoTono” è grezzissimo e punk mentre “Kinotto”, appena più rifinito, è di solito considerato il disco “new wave” del gruppo bolognese (in realtà un suono davvero wave si ascolta solo in “Kakkole”). Sarebbe sociologia d’accatto ipotizzare una “perenne attualità” degli Skiantos, anche se è vero che il loro ilare cinismo seppe anticipare il freddo ideologico ed emotivo degli anni ’80 e forse preconizzò l’”Emilia Paranoica” che di lì a poco avrebbero cantato i CCCP. Resta il fatto che “Kinotto” è, 24 anni dopo, un disco sorprendentemente piacevole da ascoltare.
Alcuni guizzi verbali di Freak Antoni sono pura poesia cattiva (“non so cosa mi trattiene dal tagliarmi le tue vene”), il tiro dei pezzi più veloci come “Gelati”, “Il rock ti da lo shock” o “Ti rullo di kartoni” è indiscutibile mentre “Mi piaccion le sbarbine” sembra descrivere alla perfezione quel lolitismo che sarebbe poi stato sdoganato dall’intrattenimento televisivo sotto forma di “veline” e “letterine”. (Antonio Vivaldi)