Parte Maison Verte, e uno si immagina una di quelle giornate in cui casca una pioggerella fine, e dalla campagna verde si leva un sentore di erbe selvatiche, di funghi, di terra: e ci si domanda, ancora una volta, dove sia il segreto di certe teste e di certi cuori, che riescono a trasmettere alle mani sul pianoforte l’impulso di trovare i tasti giusti per raccontare una storia che non ha parole, ma è come se le avesse tutte, direttamente, nel puro suono. Melodie così, ad esempio, le sapeva creare Charlie Haden, Esbjörn Svensson. Non è l’unica su questo disco dolce e potente, come‘è sempre la musica che scrive e suona Claudio Cojaniz, pianista friulano che, se ci fosse un po’ più di giustizia nel mondo dei riconoscimenti pubblici, in molti metterebbero ai primissimi posti tra i jazzisti italiani che riescono a essere comunicativi e ben radicati al contempo. Questo Blue Question nasce come dedica a due piccoli grandi uomini che riuscirono a portare e organizzare il miglior jazz in terra di Calabria, e scomparsi troppo presto. Sarà l’innesco emotivo di chi lascia un ricordo troppo grande per essere fatto solo di rimpianto, sarà che Cojaniz quando ha accanto il contrabbasso risonante e saggio di Franco Feruglio trova l’incastro perfetto, ma questo disco ha una caratura emotiva superiore. E potrebbe essere una sorpresa anche per chi proprio non frequenta questo tipo di musica, o non sa da dove iniziare gli ascolti, causa offerta frastornante, ed anche parecchio snobismo. (Guido Festinese)