La passione per le eccentriche location di registrazione ha portato stavolta i Low Anthem in una fabbrica dismessa di conserve di pomodoro. A giudicare dai risultati, il posto non solo ha un’acustica strepitosa ma anche una straordinaria componente evocativa, visto che Smart Flesh può essere definito ‘magico’ senza che la definizione risulti sopra le righe o motivata dall’assimilazione di sostanze illegali. Il trio del Rhode Island porta qui a compimento un processo che potremmo definire atemporalizzazione del vecchio. Le melodie da chiesa di campagna e i suoni semplici di banjo, organo, scacciapensieri e clarinetto, anziché banale opzione retro-chic appaiono qui il luogo dove è possibile essere se stessi a livello umano e sonoro (l’effetto è un po’ quello dei primi dischi dei Calexico, però con i Monti Appalachi al posto dell’Arizona). Magari è tutto merito della produzione ineccepibile oppure di un mirabile talento mimetico, ma d’altronde anche il miglior cinema è finzione che commuove. (Antonio Vivaldi)
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