L’iniziale Harry’s Song è di una bellezza struggente che spinge al riascolto immediato. La controindicazione a tanto fascino è che i pezzi successivi faticano a emergere e solo alla nona traccia, My Rain, si ritrova la stessa magia. L’errore di quest’approccio sta nel cercare a tutti i costi il Robyn Hitckcock psichedelico e suadente di I Often Dreams Of Trains: l’artista odierno, pur non rinunciando ai tocchi visionari, si mostra anche attento al reale e parecchio incupito (”stai fermo, lasciati cadere addosso l’oscurità” canta in Be Still), forse perché la Londra da cui ci manda i suoi saluti è una città incattivita e truce, dove le persone più deboli vengono trattate come stracci (Fix You). A questo punto tutto l’album acquista una luce diversa e ricca di sfumature, anche se il finale di End of Time dimostra che alla sua città Hitchcock vuole sempre bene. (Antonio Vivaldi)