Che l'intero pantheon dei “blue devils”, gli spiritelli che presiedono alle sorti delle note afroamericane, ce lo conservi a lungo, uno come Alberto Debenedetti in arte Bobby Soul. Disco dopo disco, concerto dopo concerto, e una cantina intera di barili di sudore dopo, Bobby è approdato a una dimensione unica e solo sua, nel panorama della Penisola così avara di riconoscimenti per chi vale davvero, e così prodiga per le mezze cartucce. Bobby Soul era (ed è, sia chiaro) un uomo del funk, del rhythm and blues, del blues, di tutto quanto insomma potete ascrivere a chi non ce la fa proprio a non garantire un buon groove nelle sue canzoni. Però il tempo gli ha regalato una splendida capacità di affabulazione anche nei testi, a complemento diretto di quella voce nera che sembra sempre una bomba tonda con la miccia accesa e pronta ad esplodere. Bobby Soul è un radar che intercetta le storie, e le sa rendere in canzone, mantenendo, appunto, un gran funk, è un sismografo sensibile che registra i battiti del cuore della gente, e li trasforma in emozioni cantate. Spesso sbilenche, eccentriche, appese a un filo: come quella del “Pennellone”, una figura che molti genovesi conoscono, e che adesso ha il suo cantuccio di eternità musicale, grazie a Bobby. O come quella descritta nella micidiale Osho s'è fermato a Uscio (!). E che struggimento sentire la voce di Bob Quadrelli, in fondo al tutto. La chitarra acustica di Alessio Caorsi batte implacabile e concentra le sincopi: un tappeto volante, per la voce di Bobby Soul. (Guido Festinese)